L’Acqua Cotta della Maremma.
Quanti ricordi mi legano a questa deliziosa zuppa.
Ho lasciato la mia terra natale, la Maremma, a 18 anni per frequentare l’Università di Pisa. Da allora (a parte una pausa di quattro anni a Milano), mi sono trasferita definitivamente nella provincia della “torre pendente”.
Rientro raramente a Grosseto, magari per salutare mia madre che abita ancora lì o per trovare un amico che, grazie anche a Facebook, sono riuscita a non perdere.
Eppure la Maremma e Grosseto sono nel mio cuore, così presenti, solari e forti come mia nonna Amossina.
Mia Nonna Amossina
Quella forza della natura che era mia nonna, mi raccontava spesso delle lunghe veglie rurali durante le serate di un clima afoso, delle croste di pane tostato nel camino durante i lunghi pomeriggi d’inverno, delle incursioni nei campi per rubare le “purnelle”, il frutto di un albero che io non ho mai capito quale fosse…forse il susino.
Mia nonna ha dato un senso alla mia vita, per l’80%, mi ha permesso di ascoltare con curiosità i “vecchi” quando raccontano le loro storie, mi ha tramandato una grande passione per la campagna e un rispetto religioso per la natura.
È stata lei, Amossina, a spingere per la prima volta la punta delle mie piccole dita in un “cratere” di farina bianca per rompere le uova e iniziare a impastare.
Mi ha fatto capire che ogni piatto, come l’Acqua cotta della Maremma, è una sintesi di una lunga storia, un fedele guardiano scientifico di un archivio di ricordi che si rinnovano a tavola, ripetuti in ogni famiglia, anche dopo secoli …
Ogni piatto tradizionale è la storia in una ciotola, una storia che viene trasmessa senza libri, ma attraverso un atto di cura.
Ecco un altro aspetto: cucinare per qualcuno è prendere questa persona nel tuo cuore, dalla spesa fino a quando sei pronto per lavare i piatti.
Anche se mia nonna era poco romantica, così come i suoi gesti di lavare le verdure, impastare, tagliare una cipolla o pulire un pollo, non dimenticherò mai la sensazione di “essere a casa, colma d’amore” che provavo ogni volta che la vedevo fare quei gesti.
L’importanza dell’indugio
Da ogni suo gesto derivava per me la certezza di essere amata da quella piccola donna, cresciuta con poche pretese e carezze, confermata e dimostrata dal suo forte desiderio che “tutto doveva essere buono, per noi”.
Col passare degli anni mi sono sentita quasi benedetta da quella cura, e un po’ più buona e meritevole di tutte le cose buone che ho avuto il piacere di imparare da lei.
L’Acquacotta della Maremma che a volte è scritto tutto attaccato, a volte no … e non vi è alcuna regola per questo, è un piatto semplice che, come tutti i piatti semplici, richiede l’ “indugiare” nei gesti, il soffermarsi a cucinare.
Mia nonna mi diceva: “Cucinare è come dare una carezza a qualcuno, anche una carezza affrettata, è sempre una carezza; ma se fai correre lentamente la mano, se indugi, è decisamente meglio”.
Ho sempre pensato, con la dura vita che aveva affrontato, che mia nonna avesse imparato il significato della parola “carezza” proprio dal “cucinare”, piuttosto che dalle persone.
L’Acquacotta
è il piatto simbolo della Maremma, terra di “malaria” (completamente sradicata solo a metà degli anni ’50) e “terra amara” come definita da una canzone popolare.
Nel corso degli anni, questa zuppa ha guadagnato terreno in ristoranti alla moda, arricchiti da molti ingredienti diversi … ah, se mia nonna sapesse che l’ho trovata anche con il tartufo !!
Eppure (chi viene dalla Maremma lo sa) l’Acquacotta ha bisogno solo di 3 ingredienti per essere squisito: cipolla, sedano, pane.
Appartiene alla campagna toscana, proprio come la “Zuppa di Cipolle” e il “Bordatino”.
E’ conosciuta come il piatto di “BUTTERI”, ovvero i “cowboys” della Maremma che attraversavano campi, foreste e paludi per spostare le loro mandrie e “governare” le loro terre inaccessibili.
E raccontandomi dei “Butteri” e delle loro avventure, mia nonna Amossina mi prendeva in braccio descrivendomi la sua infanzia trascorsa a contatto con la natura. Tra una filastrocca e un’altra, sulle sue ginocchia, un giorno mi raccontò
La storia di “ULTIMO” e l’origine dell’ Acquacotta della Maremma.
“Ultimo” era tale nel nome e nei fatti, e una sera d’estate, stanco per il lavoro e affamato a causa dell’assenza di cibo (a quel tempo era all’ordine del giorno) si sedette accanto a un fuoco nel cortile, pensando a cosa potesse mangiare mentre si guardava intorno.
Nella sua tasca c’era una cipolla, che non è mai mancata al tavolo dei poveri.
Ultimo mise un po’ d’acqua su una padella e ci ruppe all’interno la cipolla, poi iniziò a girare intorno all’aia e proprio lì, sul bordo di un campo, strappò un po’ di cicoria selvatica e dopo un breve risciacquo versò anche questo in padella; poi andò vicino al pollaio e prese un po ‘di pane secco per i polli dal sacco … e gettò anche questo nella padella. Mentre guardava tutta quella “povertà” che galleggiava e ribolliva, i suoi fratelli lo chiamarono da lontano:
“Ultimo! Ultimo, che stai facendo?”
“Niente di importante” rispose “Sto cucinando l’acqua, sto facendo l’acqua-cotta!!”.
Il mio matrimonio
Per il pranzo del mio matrimonio sono andata in Maremma, alla ricerca di quei ristoranti che avrebbero cucinato meglio l’Acquacotta della Maremma. Purtroppo la mia nonna Amossina non era più con noi da alcuni anni, ma questa gustosa zuppa, al pranzo del mio matrimonio, era ricca della sua storia. Sarebbe stato un po’ come averla con me.
Ho trovato un’Acquacotta eccezionale a Castiglione della Pescaia, nel ristorante di un hotel con vista sul mare, l’hotel Mira Mare. La chef si chiamava Enrica e nel corso degli anni aveva vinto un premio per la migliore “Acqua Cotta”.
Io e il mio futuro marito, sin dalla prima di una lunga serie di degustazioni, ci siamo guardati l’un l’altro rendendoci conto che avevamo già deciso: lei era la sola cuoca che volevamo per il matrimonio, lei sapeva con certezza il significato di “indugiare”.
Per il nostro gruppo Enrica ha distribuito a tutti una poesia sull’Acquacotta, scritta su un foglio di carta gialla arrotolata, bordata di rafia. Ho ancora questo dono e lo do agli “studenti” che frequentano il corso sulle “zuppe toscane” … e le ricette che do dopo le lezioni di cucina in generale, sono sempre arrotolate e chiuse con un fiocco in rafia rosso scuro …
L’ Acqua Cotta e la mia Maremma
Ingredienti
- 300 gr spinaci
- 300 gr bietola
- 3 gambi di sedano con le loro foglie
- 1 cipolla grande bionda o 2 rosse
- 8 foglie di nepitella (opzionale)
- 4 pomodori ramati
- 8 pomodorini
- 2 spicchi d’aglio
- 4 fette di pane toscano tostato
- 4 uova
- 1/2 tazza di parmigiano grattugiato
- 6 cucchiai di olio extra vergine di oliva (Evo)
- assaggiare il sale
- assaggiare il pepe
- 1 l di acqua bollente
Istruzioni
- Strofinare le fette di pane tostato (solo un lato) con mezzo spicchio d’aglio
- Irrorare una padella dal fondo pesante con olio Evo e metterla sul fuoco
- Aggiungere la nepitella e l’aglio rimanente e attendi che l’olio sia caldo
- Versare la cipolla tagliata finemente con un po’ di sale e cuocere a fuoco medio-basso. Aspettare fino a quando non diventa traslucida (non deve imbiondire)
- Aggiungere le verdure tagliate grossolanamente: sedano (ricordarsi di mettere anche le foglie), bietola e spinaci (puoi anche usare funghi e cicoria). Mescolare brevemente fino ad appassimento.
- Aggiungere i pomodori tagliati grossolanamente e versare in padella una tazza di acqua bollente
- Cuocere a fuoco basso per circa 20 minuti (coperchio sulla padella). Quando le verdure sono molto morbide, aggiungere l’acqua bollente rimanente in 2 volte.
- Salare ed assaggiare
- Posizionare il pane tostato in 4 scodelle da forno
- Versare circa un mestolo di verdure sopra il pane in ogni ciotola
- Una volta riempite le ciotole, usare un cucchiaino da tè per scavare leggermente un buco al centro delle verdure
- Rompere le uova direttamente in questo buco, una in ogni ciotola
- Coprire con una generosa spolverata di parmigiano
- Mettere in forno a 180 °C per gratinare, per circa 15 minuti.
- Gli albumi devono essere bianchi e consistenti, ma il tuorlo deve restare liquido.
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